La sfida della decarbonizzazione. Dall’elettrificazione alle reti calore atipiche.
La sfida della decarbonizzazione. Dall’elettrificazione, alle reti calore atipiche.
Intervista all’ing. Emidio Capretta, EGE certificato e fondatore di Emi Engineering
Sostenibilità. Quali logiche seguono oggi i percorsi di transizione energetica ed ecologica?
Gli aspetti da considerare sono molteplici, anzitutto ci troviamo in un contesto in cui l’Europa chiede la decarbonizzazione e conseguentemente l’elettrificazione degli edifici. La tecnologia oggi consente agevolmente l’elettrificazione, ma un problema da considerare è la potenzialità della rete elettrica: attualmente Terna sta potenziando le linee e ci vorrà del tempo prima che siano in grado di gestire la crescente domanda di energia elettrica.
Questo frena soprattutto la messa in opera di grandi impianti, per quanto riguarda invece i piccoli impianti il discorso è differente: anche se si sta lavorando sulle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) e quindi – grazie soprattutto agli incentivi previsti – ci sarà un significativo aumento di produzione di energia elettrica rinnovabile, non ci si deve dimenticare che molti degli edifici dei grandi agglomerati urbani non sono climatizzati con impianti centralizzati ma con tanti sistemi di climatizzazione autonoma decisamente poco efficienti, come i classici split system. Quindi il carico elettrico è soddisfatto durante l’estate e, nonostante ogni tanto la rete vada effettivamente in difficoltà, il carico è supportato e – salvo casi specifici che devono essere valutati – la rete è pronta a supportare una massiccia opera di elettrificazione.
Quando si parla di riqualificazione energetica, qual è l’aspetto più problematico?
Il problema è scegliere le strade migliori per rendere efficienti gli edifici. Per esempio, i cappotti termici -come abbiamo appurato nel periodo del superbonus – hanno un’incidenza di costo altissima per il condominio. Il superbonus ha incentivato questo genere di intervento, ma abbiamo visto che il cappotto non sempre permette di fare due salti di classe energetica se non si sostituiscono anche gli infissi e questo in ambito condominiale è problematico, in quanto gli infissi non sono parte comune.
Spesso negli interventi di riqualificazione realizzati con il superbonus si è sostituita la vecchia caldaia con una nuova caldaia a condensazione o, nella migliore delle ipotesi, con un impianto ibrido. Sistemi che comunque continuano a bruciare gas metano e ci allontanano dalla logica della decarbonizzazione al 2050.
Quindi i sistemi ibridi non rispondono nel migliore dei modi alla domanda di efficientamento energetico dei sistemi: fanno fare i salti di classe energetica richiesti, ma solo in abbinamento al dispendioso cappotto termico. Cosa ben diversa invece se pensiamo all’installazione delle pompe di calore.
Come fare quindi la differenza rispetto al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione?
Il mercato italiano – se pure con immenso ritardo – sta vedendo un significativo incremento delle installazioni delle pompe di calore. Ce ne sono di varie tipologie, condensate ad aria, ad acqua, quindi le geotermiche o le idrotermiche. Per esempio in Lombardia siamo su una vera e propria “bolla d’acqua” quindi dovremmo lavorare solo con pompe di calore idrotermiche. Il problema sono i pozzi, perché la città metropolitana impone dei vincoli, ma nulla di insormontabile: la risposta sta nella logica delle reti di teleriscaldamento. Personalmente le chiamo reti di teleriscaldamento atipiche, o reti fredde, perché di fatto io non mando calore ad alta temperatura – 80 o 90 gradi – come si è sempre fatto, per esempio nei grandi centri urbani, come Brescia o Cinisello Balsamo. Le reti calore “classiche” ci costringono a progettare e costruire una linea di distribuzione con tubi pre-isolati, con costi di realizzazione importanti e con gestione di costi di produzione termica elevati, perché dobbiamo mandare acqua ad alta temperatura nelle linee di distribuzione termica delle reti, che poi arrivano all’interno dei singoli edifici nelle sottocentrali e con gli scambiatori forniscono calore per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria.
In regime invernale questo ha un senso, del resto devo riscaldare. In regime estivo però la stessa linea deve sopportare il calore per la sola produzione acqua calda sanitaria, riducendo il fabbisogno al 15-20 % del potenziale totale che normalmente viene inviato per il riscaldamento. Quindi abbiamo mega tubazioni che vengono irrorate di calore con costi di gestione elevatissimi.
La rete calore ha un vincolo e uno svantaggio. Mi riferisco al costo del MWh termico che deriva dalla centrale termica di produzione e che si ricollega al fattore di energia primaria, che è quel valore che viene utilizzato quando si fa l’attestazione di prestazione energetica dell’edificio, per verificare la classe energetica o gli eventuali salti di classe energetica che il collegamento alla rete di teleriscaldamento consente di fare: normalmente il risultato non è poi così soddisfacente, perché questi sistemi bruciano comunque gas metano.
Quindi torniamo alla logica che anche queste centrali sono composte da caldaie ad alto rendimento che bruciano gas e, nella migliore delle ipotesi, è presente la cogenerazione. La rete di calore atipica che sto pensando e proponendo – e che è stata approvata dal commissario alla ricostruzione dell’area del cratere, il senatore Guido Castelli – coinvolgerà paesi interi tra Marche e Abruzzo per la ricostruzione post sisma. È una rete atipica perché tecnicamente andiamo a creare una linea di acqua di sorgente, un’acqua inviata all’interno di tubi di polietilene classico, come quelli delle reti idriche, non coibentati: l’acqua all’interno delle tubazioni viaggia tra i 15 e i 20 gradi, pensiamo poi ad un punto di scambio termico tra la rete – questo water loop, questo anello chiuso di mandata e ritorno, che passa lungo tutte le vie che vogliamo servire – e la falda che scambia calore. Durante l’inverno, quando la rete viene utilizzata per il riscaldamento, tende a raffreddare l’acqua all’interno dell’anello. Quando invece siamo in regime estivo la stessa acqua che viene inviata sulla rete tende a raffreddarsi quando utilizzate per produrre l’acqua calda sanitaria e a riscaldarsi quando è utilizzata per la climatizzazione.
Andremo ad installare in ogni edificio una pompa di calore acqua-acqua, ovvero idrotermica. Grazie all’installazione di questa pompa di calore dedicata al singolo edificio e che può essere installata in qualsiasi locale idoneo, non essendo soggetta al certificato di prevenzione incendi, ogni condominio potrà permette fare 3 o 4 salti di classe energetica solo sostituendo la vecchia caldaia e collegandosi alla rete.
Il costo della rete è bassissimo, inoltre questi interventi di riqualificazione sono finanziati con i fondi del PNRR. Sono soluzione che devono essere pensate e valutate tenendo conto che ci permettono di evitare la richiesta “selvaggia” di fare pozzi ovunque e quindi di intervenire in modo invasivo sul territorio: non una moltitudine di pozzi di presa e di resa, ma – per esempio – un hub di presa o più punti di presa, ma centralizzati, dove tecnicamente invio solo acqua fredda, addolcita e trattata, e ogni edificio ha la sua pompa di calore. È vantaggiosissimo perché nel regime estivo, quando devo fare solo acqua calda sanitaria, la sorgente viaggia sempre alla stessa temperatura.
Le pompe di calore per queste reti atipiche sono già disponibili sul mercato?
Certo! Queste pompe di calore geotermiche sono già sul mercato. È necessario progettare ad arte la rete, ma la tecnologia è disponibile. C’è di più. Le pompe di calore oggi vanno in soccorso anche alla logica delle Comunità Energetiche e dell’Autoconsumo Collettivo pensato per i condomini, perché il problema per queste realtà è lo scarso consumo elettrico: il condominio consuma gas per riscaldarsi. Togliere la caldaia a gas (e magari anche i fornelli a gas negli appartamenti) e utilizzare la pompa di calore geotermica significa incrementare i consumi di energia elettrica, che sono ciò che oggi è vantaggioso e per le CER, perché l’incentivo del GSE non è sull’energia prodotta, ma sull’energia autoconsumata e condivisa con gli utenti aderenti alla Comunità Energetica. Se ho una pompa di calore che gestisce l’impianto di climatizzazione e di produzione di acqua calda sanitaria, vado a massimizzare anche l’efficacia degli incentivi per le CER.
Ricordiamo comunque che una pompa di calore rispetto ad una caldaia a gas permette di avere risparmi fino al 70% dei costi di gestione in termini di energia primaria consumata, quindi al netto degli incentivi per una eventuale CER o una per una configurazione di Autoconsumo Collettivo è comunque sempre conveniente in termini di risparmio per un condominio.
Questi sistemi possono essere d’aiuto anche nel raggiungimento degli obiettivi europei?
L’Energy Performance Building Directive (EPBD) che l’Europa ha recentemente approvato chiede all’Italia e agli altri Paesi dell’UE un miglioramento delle performance energetiche del patrimonio immobiliare del 16% entro il 2030 e del 22% entro il 2035. Un obiettivo importante e impegnativo, ma bisogna considerare che un condominio che si collega ad una di queste reti di calore ha automaticamente assolto a tutte le richieste europee, potenzialmente senza fare nessun investimento perché queste reti possono essere gestite direttamente dalle Energy Service Company che realizzano le reti di teleriscaldamento.
Le reti calore vanno però ripensate, la visione di base dev’essere differente, devono essere ricalcolate e riaggiornante. Questa è oggi la priorità. Le strade da perseguire per centrare gli obiettivi di sostenibilità sono sì le reti di teleriscaldamento, pensate però in maniera diversa, ovvero sfruttando la sorgente naturale che abbiamo a disposizione – l’acqua –, veicolandola lungo tutta la città il più possibile. Ci sono delle difficoltà? Sì, ma nulla che non si possa risolvere con una adeguata pianificazione che consenta di avere zero emissioni, decarbonizzazione assoluta, zero utilizzo di gas metano, utilizzo razionale dell’acqua di falda, utilizzo – in sintesi – di sola energia elettrica. Una città come Milano potrebbe tranquillamente fare a meno del gas metano.
Dove sono maggiormente diffuse le pompe di calore?
Nonostante le temperature più rigide, le pompe di calore sono più diffuse in nord Europa che in Italia. Nel nostro Paese sulle pompe di calore e in generale sui temi dell’efficienza energetica c’è molta ignoranza. Anche in occasione di importanti riqualificazioni si fanno sempre le stesse cose e sempre allo stesso modo, mai nessuno cambia i sistemi, mai nessuno osa innovare, eppure le tecnologie ci sono. Lo vediamo con le industrie: quado si fanno diagnosi energetiche per le attività energivore per esempio, si procede poi sempre con interventi banali, ma sui processi produttivi nessuno mette mano. In Italia abbiamo aziende che bruciano migliaia di metri cubi di gas metano per produrre vapore e poi lo stesso vapore viene utilizzato per produrre acqua calda. Nessuno ha mai il coraggio di dire che quelle caldaie a vapore si dovrebbero spegnere, che hanno un’efficienza ridicola, e che dovrebbero essere sostituite da pompe di calore.
Per intenderci, oggi le pompe di calore hanno raggiunto un livello tecnologico talmente elevato che possiamo produrre vapore a 180 gradi e 8 bar di pressione.
In Germania, in Svezia e in Norvegia vengono utilizzate praticamente solo pompe di calore. Lo ribadisco: c’è profonda ignoranza sul tema in Italia. Qui, tecnicamente, con i climi miti della penisola, non avremmo bisogno di utilizzare gas, dovremmo installare solo pompe di calore. Purtroppo non è così.
Cambiando argomento, come fare per i condomini con impianti non centralizzati?
Ci sono effettivamente i condomini con tante caldaiette, palazzi che non hanno un impianto centralizzato. In questi casi l’installazione diventa più complicata, ma solo fino ad un certo punto. È necessario far comprendere che il passaggio dagli impianti autonomi a quelli centralizzati è un passaggio obbligato se vogliamo efficientare i sistemi. Il problema è riuscire a presentare ai condomini le soluzioni nella maniera corretta. È necessario fare le diagnosi energetiche, lasciando così parlare i numeri. Le diagnosi però devono essere fatte da Esperti in Gestione dell’Energia (EGE) certificati. Non basta affidarsi ad un bravo termotecnico o ad un bravo ingegnere civile: serve necessariamente un EGE, altrimenti non avremo mai risposte adeguate e ci troveremo sempre ad installare caldaie. Bisogna affidarsi a chi ha conoscenza, esperienza e visione.
Perché i professionisti e gli esperti non vengono ascoltati?
Bella domanda! Da una parte oggi chiunque si sente in diritto di intervenire su tematiche che non conosce, chiunque abbia letto un articolo sul web o visto un video su Youtube ritiene di essere esperto del tema. L’informazione, anche su tematiche tecniche è importante, su Emi TV lo facciamo ogni settimana, cercando di aiutare anche i non addetti ai lavori a comprendere tematiche complesse. Le persone dovrebbero però imparare a riconoscere i propri limiti, un conto è essere informati, un altro è essere professionisti esperti, che hanno studiato per anni e che si sono formati lavorando e progettando quotidianamente sistemi energetici sempre più efficienti, aggiornandosi e restando sempre al passo con l’innovazione tecnologica.
Dall’altra abbiamo il mondo accademico, illustri professori che sicuramente svolgono un ruolo importante a livello teorico e di ricerca, ma che troppo spesso sono lontani dal mondo dei professionisti che sono tutti i giorni sul campo. I docenti universitari sono importanti e offrono spunti di riflessione che devono essere tenuti in considerazione, ma gli ingegneri che ogni giorno lavorano e firmano progetti, prendendosi la responsabilità del buon funzionamento degli impianti, sanno come funzionano le cose nel concreto. Diagnosi energetiche certificate, risultati ottenuti anch’essi certificati e verificati: per me e per i miei colleghi è pane quotidiano, i professori universitari probabilmente si occupano di altro.
Per concludere, cosa possiamo dire dell’idrogeno?
Se ne parla spesso in maniera entusiastica, ed è comprensibile, perché sulla carta è qualcosa di rivoluzionario. Anche il mondo dell’impresa se n’è accorto e si sta muovendo. L’idrogeno è effettivamente una grande opportunità, entrerà – anzi, è già entrato – a pieno titolo tra le strategie per la transizione energetica ed ecologica, ma non sarà la risposta a tutti i problemi della sostenibilità energetica. Non esiste una soluzione univoca: più tecnologie entreranno, in sintonia e sinergia, risponderanno, caso per caso, alle sfide per giungere a modelli di vita, produzione e consumo finalmente più sostenibili.
Sono fiducioso, ma la sfida più grande è culturale: per fare le cose, bisogna prima conoscerle.